venerdì 20 febbraio 2015

Il valore dei piccoli ricordi

Oggi passeggiavo pensando fra me e me cosa fare per trascorrere quell'ora che mi separava dal colloquio con la psicologa. Un'immagine improvvisa allora mi ha colpito: una specie di piazza con un qualcosa simile a una vasca, tutto in pietra, trascurato e coperto dalle erbacce. In un attimo siamo rimasti solo io e quella piazzetta abbandonata. Era pace assoluta, sebbene a cinque metri dietro di me ci fosse un traffico incredibile. Io, la piazzetta, le erbacce mosse dal vento, il cielo e un silenzio pieno di significati che non saprei esprimere.

Ho colto l'occasione per una prepotente e inopportuna domanda: a che servono questi piccoli momenti di bellezza? Per la prima volta sono riuscito a rispondermi: il cervello registra questi ricordi nella memoria, dove rimarranno per un bel po', a volte persino per sempre. Questi ricordi possono aiutarci a superare momenti difficili o semplicemente a risollevarci quando non siamo al 100%.

La risposta mi ha soddisfatto, così ho tratto un respiro profondo e me ne sono tornato sui miei passi. Qualcosa di più interessante però mi frullava in testa: a che diavolo servono quei fastidiosi ricordi a prima vista inutili eppure insistenti? Perché ricordo così bene come mi sentivo quando, anni fa, scoprì una certa canzone e con essa sognavo il mondo notturno fuori dalla mia stanza?

Al perché è abbastanza semplice rispondere: il momento mi ha colpito in un modo così particolare coinvolgendo tutti i sensi da essere codificato dall'ippocampo. All'utilità oggettiva di questi ricordi non so rispondere altrettanto oggettivamente, ma ho un'idea che mi garba in modo particolare e che sento essere sensata: sono momenti preziosi che, se compresi e accettati, mettono un punto fermo al nostro divenire, alla nostra crescita psicologica.

Una volta risposto anche a questa domanda ho mandato contento un messaggio a un mio amico spiegandogli tutto questo, sono salito sulla moto e ho fatto visita a mia nonna. Casa sua è piena di ricordi che ho finalmente deciso di accettare.

giovedì 19 febbraio 2015

I nostri limiti

La mia infanzia è costellata da secchi no. La cosa ha contribuito a una crescita psicologica non proprio positiva. Infatti, quando l'ambiente che ci circonda ci limita apparentemente quasi senza una regola fissa, il nostro cervello non capisce più cosa è giusto o sbagliato, cosa ci piace e cosa non ci piace, lanciandoci in una spirale di incertezze. Ho incontrato spesso persone del genere, incapaci di scegliere per se stessi, o perlomeno sfoltire il ventaglio di possibilità a loro disposizione. Ad esempio, c'è chi non è in grado di scegliere l'orientamento dei proprio studi universitari, arrivando a contrapposizioni assurde, come "sono iscritto a infermieristica ma non mi piacciono il sangue o gli aghi o le ferite", o cose del genere. 

Alcuni dei miei "pensieri in solitudine" sono andati a questa problematica, ripescando frasi della mia psicologa: "devi permetterti di fare quello che ti va".

Una volta che siamo stati plasmati dall'ambiente è difficile modificare qualche cosa. Difficile, ma non impossibile, e gli unici in grado di farlo siamo solo noi.



sabato 14 febbraio 2015

Il muro

Tutti più volte l'anno hanno a che fare con un muro: un ostacolo tanto grande e temibile da sembrare tagliar via ogni altra strada.

Il mio ultimo muro è stato l'interrogazione di francese. Io odio dover fare interrogazioni di francese, non sono così bravo come con l'inglese, e i quattro argomenti che avrei dovuto portare mi erano impossibili da ricordare. Provai l'interrogazione e fallii. Mi buttai giù, dichiarai guerra al francese e tante altre cose del genere. Tutto inutile: il tempo andava avanti e la verifica, in un modo o nell'altro, avrei comunque dovuto farla.
Per fortuna stetti male e saltai un paio di lezioni. Questa casualità (in realtà era male psicosomatico) mi diede il tempo di riflettere.
Alla fine arrivai a una conclusione chiara e semplice: dovevo studiare, e dovevo farlo come ho sempre fatto. Presi le fotocopie e il quaderno, cominciai a leggere e a ripetere. In quaranta minuti avevo finito.
Dopo 3 mesi di ansie e tentennamenti avevo risolto tutto in 40 minuti. 
Qualche giorno dopo mi soffermai ad analizzare questo mio curioso comportamento, chiedendomi quale fosse stato l'elemento chiave della mia reazione.
Stabilii che era stato questo: cambiare il mio punto di vista da "particolare" a "generale" ha fatto sì che, oltre al problema, vedessi anche la vita di tutti i giorni andare avanti come se nulla fosse. Gli ostacoli, insomma, pur grandi che siano, non fermano il tempo, non tagliano via tutte le strade. Si ha ancora la possibilità di fare altro, e anche non fare niente è una scelta.
Questo non è un consiglio su come affrontare tutti i problemi, ma sono sicuro che perdono maggior parte della loro aria minacciosa se si tiene conto che tutto continua a scorrere, muri o no.

mercoledì 11 febbraio 2015

Il mio autosabotaggio

A volte, volenti o nolenti, distorciamo la realtà. Da qui nascono innumerevoli inconvenienti che ci abbattono e ci rovinano la vita.
Un esempio non può che essere l'amore: l'indecisione fra un contendente e un altro nasce spesso da preconcetti, da dubbi infondati e da sovrastrutture culturali con cui non conviviamo sufficientemente bene. 

Spesso tutto questo accade persino quando dobbiamo prendere una decisione per noi stessi. Tralasciando l'ipotesi di una scelta difficile, è fuori discussione la tendenza all'autosabotaggio.
Giusto oggi pensavo al tipo di vita che ho sempre vissuto e che vorrei vivere in futuro: una vita fatta di tranquillità, pace e piccole cose.
Fino a poco tempo fa però pensavo solo a scoperte sensazionali, soldi a palate, ville enormi o addirittura creare una nuova nazione. Riflettendoci un po' su, però, sono arrivato alla conclusione che queste cose non fanno per me: le trovo grigie, inutili, quasi banali. Quello che mi ha sempre fatto godere la vita sono i piccoli momenti dentro ai grandi momenti. Della mia infanzia ricordo i miei giocattoli preferiti, il modo in cui era illuminata la stanza del computer, la colomba cui davo da mangiare e cui raccomandai di seguirmi nella casa nuova, il mistero e il fascino di certi videogiochi, il profumo di pioggia prima e dopo le tempeste o i pini e i cipressi vicini casa mia. Faccio grande fatica a ricordare cose "grosse", avvenimenti di grande importanza di cui non mi è mai importato granché; e anche in questi ricordi a risaltare sono le piccole cose. Del mio primo "fidanzamento" ricordo la curiosità e la tensione, ricordo le luci e l'atmosfera che mi circondavano; del passaggio alla scuola elementare o alle medie, o l'esame della terza media, o del primo giorno di scuola superiore ricordo solo una piccola goccia di curiosità e di paura. 

Per me le grandi cose sono solo somma di piccole cose. E come ho scritto nel post precedente, basta accorgersi di un singolo, piccolo dettaglio per rendere la propria vita degna di essere vissuta. Ho vissuto per molto tempo pensando di amare le grandi cose quando non le riesco nemmeno a concepire.

Questo è puro autosabotaggio. I libri che ho letto e i siti web che ho frequentato mi hanno portato a crearmi un'idea di "vita bella" basata sulle grandi imprese. Non capivo (né capisco tutt'ora) alcune cose condivise da gran parte della gente che mi circonda, ma credendo di essere come loro cercavo invano di farle mie. Ma mi sentivo disagio e fuori posto.

Per questo motivo dico che prima di ogni cosa viene la conoscenza di sé. Senza sapere niente dei propri gusti e della propria "natura" si sta male e si fa stare male le persone che amiamo. Ma si cambia, si apprendono nuove cose e si provano nuovi punti di vista; ecco perché penso che sia necessario ritagliarsi ogni giorno dei momenti in cui stare da soli con se stessi, esplorarsi e mettere tutto in ordine. Non si può essere se stessi senza prima scoprirsi.

domenica 8 febbraio 2015

Dettagli

I dettagli di un momento valgono una vita.

Post di presentazione

Salve a tutti. Il mio nome è Andrea, ho diciotto anni e attualmente frequento un liceo che non mi piace. Tutte le mattine sono costretto a sorbirmi decisioni e commenti stupidi, e nemmeno a casa la situazione migliora. Solo quando sto con i miei amici il livello dell'asticella si alza, fino a sfiorare livelli soddisfacenti.
Ogni giorno, tornato da scuola, leggo tutte le notizie scientifiche e d'attualità che più mi colpiscono, e passo un po' di tempo a fare qualcos'altro (in questo periodo, leggere un manuale di pedagogia del Novecento). Quando non studio mi si aprono un milione di possibilità - che irrimediabilmente getto nel cestino, dove marciscono e alla fine scompaiono. A volte faccio attività fisica, altre volte esco, ma è raro. Di solito butto via il tempo senza nemmeno sapere come. La sera leggo, mi addormento e porto indietro il nastro. La giornata è andata, sparita, e con essa un pezzo di me.

Questo modo di vivere è comune a molte persone, forse anche troppe. Non è raro sentirsi dire che bisogna rallentare, che il mondo d'oggi è frenetico, di cogliere l'attimo, e cose così. Ma quante volte ci siamo fermati a rifletterci su in modo serio e coscienzioso? Io, perlomeno, quasi mai. Mi è capitato di fare meditazione, ma nel giro di due settimane subentra la noia e puff, rieccomi a scrollare la home di Facebook per ore e ore, ascoltando musica che nemmeno considero, guardando distrattamente un telefilm e pensando a come sarà bello quando tutto cambierà. Ma davvero trasferirsi in un'altra città rimescola le carte? Le giornate sono sempre di 24 ore, e le abitudini ci seguono dappertutto.

No, non cambierà un tubo, perché il vero cambiamento comincia da noi stessi.

Io ho deciso di cambiare, almeno un po', prendendomi qualche minuto di totale stillness ogni giorno, e di mettere per iscritto in questo blog le sensazioni e i pensieri più belli che mi passano per la mente. Ogni tanto è utile condividere qualcosa di positivo col mondo, oltre ai soliti "sono pieno di compiti", "sto male", "sono triste", "voglio questo", "devo fare questo". Ormai non si sente quasi nient'altro.
Invito anche voi lettori a imitarmi: ritagliatevi 15 minuti di totale solitudine, lasciate che la vostra mente divaghi in qualsiasi direzione, e commentate i miei post con ciò che avete scoperto. Io utilizzo la scrittura, ma va bene anche un video (non so parlare), un disegno (non so disegnare e lo trovo noioso), una canzone (non suono nessuno strumento) - qualsiasi cosa. L'unica regola, se ne esiste una, è allontanarsi da computer, cellulare, televisori, persone, console, libri, e rimanere soli con se stessi. Se vi va è possibile mettere su un po' di musica, ma alla fine i pensieri fluiscono meglio con il puro silenzio.

Due link molto utili per capire di che cosa sto parlando e come riuscire a stare fermi per minuti interi:
Un talk su Pico Iyer sul significato di stillness e sul suo ruolo nel mondo moderno;
Una doppia intervista a Pico Iyer e Matthieu Ricard, un uomo che ha avuto il coraggio di lasciarsi tutto alle spalle e diventare un monaco buddhista.



Alla prossima.

Stay still.